Mascagna opere
Opere in permanenza dello scultore designer Fiorenzo Mascagna

Presentazione del filosofo Aurelio Rizzacasa
ARTE TRA NATURA E TECNOLOGIA
Per comprendere l’opera multiforme e polisemantica di Fiorenzo Mascagna è opportuno riportare in questa presentazione dei brani dello scultore stesso attraverso i quali egli in un incontro nel suo studio, sito in via Sant’Egidio 11 a Viterbo, ha illustrato la sua produzione.
Fiorenzo Mascagna nella sua originalità espressiva pone in luce un impegno creativo configurato in un percorso costante che tiene conto della necessità e della presenza di maestri per lui significativi, sia nell’ambito delle tecniche di lavoro sia nell’ambito complesso della cultura e della critica d’arte.
Il suo itinerario può essere caratterizzato dal passaggio e nel contempo dal connubio tra artigianato e arte. Si tratta di una sintesi tra la manualità e la riflessione intellettuale. In questa sintesi, tuttavia, egli non rinuncia a dare spazio al suo spirito garbatamente anarchico, manifestato in un impegno costante e caparbio nel voler realizzare ciò che in apparenza, dato il suo punto di partenza, poteva appartenere al mondo dell’impossibile e nel migliore dei casi dell’illusorio nonché dell’utopico. Ma la costanza assidua del suo lavoro e del suo studio lo hanno portato a entrare prima discretamente e poi prepotentemente nel mondo dell’arte. Possiamo comprendere quanto affermato attraverso l’autoconsapevolezza del nostro artista, il quale riflettendo sulla sua opera, tra l’altro dichiara:
Ho iniziato con la scultura senza farmi troppe domande. Mi era sufficiente stringere nella mano lo scalpello e lasciare che le idee fluissero sulla pietra. Tutto sembrava facile e in effetti lo era, perché quelle che stavo percorrendo erano strade battute da altri. Al romantico “tutto tondo”, che sa di tradizione, si è aggiunta presto la narrazione degli incastri suggerita spesso da interventi dedicati ai contesti urbani.
Ho avuto per maestri Michelangelo Conte, Alfio Mongelli e Teodosio Magnoni. Ma soltanto Vittorio lo scalpellino lavorava la pietra e quindi i miei appetiti scultorei di allora li ha appagati il laboratorio con la tettoia di latta della segheria. Dai miei maestri ho invece appreso l’importanza di andare al centro della questione senza fare troppi giri di scalpello attorno alla scultura.

In effetti la sua produzione artistica riesce ad oggettivare il mondo del desiderio in una realtà espressiva che coinvolge pensiero e competenza tecnica. Due scuole conducono Fiorenzo Mascagna a realizzare le sue opere, quella del lavoro paziente della costruzione degli oggetti e quella impegnativa, ma astratta, della riflessione intellettuale. Spesso il prodotto di questa associazione conduce la forma accuratamente risolta a livello tecnico verso l’espressione formale. Del resto il nostro artista, che non si distacca dal fare artigianale, è pienamente cosciente di ciò quando riflettendo sulla sua vita e sulla sua esperienza professionale osserva:
Saper utilizzare gli scalpelli è una parte del lavoro e neanche la più importante, vista la presenza di macchine che possono fare più velocemente e meglio il lavoro di uno scalpellino. La sfida con la tecnologia può condurre al virtuosismo, ma vincere questa sfida non servirebbe a nulla, visto che l’obiettivo dell’arte è l’originale e non la copia. Il fascino delle forme primarie ha fatto sentire il suo richiamo ed è stato un vortice che ha rimescolato gli insegnamenti appresi in Accademia. Il dialogo con le origini è iniziato quando ho compreso che nell’opera cercavo il vitalismo e non la bellezza.
Nel quadro impegnativo e complesso della ricerca metodologica, Mascagna passa dall’idea di scultura totale che diventa spesso arredamento, alla figurazione astratta che coinvolge materiali e cromatismo della produzione tecnologica. Le sue, infatti, sono vernici utilizzate nella carrozzeria. Ciò comporta una dinamica evolutiva della sua opera nella quale più che evidenziare delle fasi è opportuno caratterizzare la processualità del percorso estetico. Ciò viene riconosciuto dallo stesso autore attraverso una riflessione introspettiva che dal passato giunge al presente, in cui fra l’altro emerge che:
Coinvolgere i colori della chimica in questo gioco della costruzione per farli dialogare con la pietra, nella quale riconosciamo la carta di identità della storia, mi è sembrata una opportunità da non trascurare. La gradualità ha fatto sentire il suo peso ed è stata lenta ma necessaria. Le prime commistioni hanno riguardato la pietra e il legno. Il passaggio dalle tinte naturali alle vernici, per me che sono cresciuto con il monocromatismo del travertino, ha rappresentato la scoperta di un mondo nuovo.

La sua arte è perfettamente coerente con il suo impegno di vita che corrisponde a una precisa scelta esistenziale, quella di essere pienamente, anche nell’arte, un homo faber capace di oggettivare la creazione in una concreta attività costruttiva.
Si determina in questo modo una produzione che esprime la complessità ecologica di una serie di prodotti capaci di realizzare la fusione tra la naturalità della pietra e del legno e l’artificialità delle vernici industriali. L’impegno metodologico sottolineato non cancella un momento estetico di carattere essenziale, costituente il tessuto etico della soddisfazione creativa. Egli infatti riconosce che:
La frontalità dell’immagine quadro è divenuta luogo di incontro tra materiali e le tecniche hanno seguito di pari passo questa volontà di dialogo. Potersi servire di più soluzioni è ammettere, e inizialmente per me che vengo dalla pietra non stato facile, che non tutte le forme vogliono essere realizzate in un unico materiale.

In questa logica l’artista concepisce il suo fare nell’orizzonte di una dinamica processuale in cui l’arte è una forma di liberazione realizzata svincolando i materiali dal loro schematismo originario e rompendo sul piano intellettuale le gabbie concettuali delle definizioni classificatorie. Ciò comporta sul piano critico il rifiuto di accogliere definizioni di scuola, quindi di cristallizzare la propria produzione in canoni estetici rigidi e predeterminati.
In questa prospettiva, la produzione più recente del nostro scultore, sintetizza la pietra, il legno ed altri materiali in una struttura armonica e complessa nella quale il cromatismo esprime registri diversi, appartenenti, come abbiamo detto, alla naturalità dei materiali ma anche alla brillante vivacità delle vernici. Materiali e colori diventano in Mascagna indizi per riconoscere nella forma levitazione e peso. A tale proposito aggiunge:
È stata la perdita di gravità della forma ad assegnare alla scultura spazi tradizionalmente occupati dalla pittura e dal design. I ritmi della sperimentazione li detta la ricerca che spinge l’arte verso continue trasformazioni.
Ogni volta che qualcosa di nuovo arriva, è lo stupore ad accendere una luce sul cammino da seguire dove alla fine si è soltanto spettatori di quello che accade. Niente male per chi già si sente operaio delle proprie idee.

Ciò permette di porre in risalto la regolarità delle forme che si accompagnano in una singolare, ma non contraddittoria, armonia tra gli elementi simmetrici e quelli asimmetrici, tra la sinuosità delle forme ricurve e la rigidità degli elementi geometrici che ritagliano figure poligonali.
Questo è l’ambiente estetico all’interno del quale il formale e l’astratto si accompagnano insieme in un’avventura espressiva in cui le intitolazioni delle opere forniscono soltanto dei suggerimenti e non delle descrizioni.
Si tratta, in fondo, di strutturare un dialogo tra l’artista e il fruitore nel quale l’opera prende vita e cresce, divenendo un significante simbolico di carattere proteiforme che modifica il suo senso e il suo significato nell’approfondimento della relazione interpersonale tra i due soggetti rispetto ai quali l’opera si manifesta come una mediazione comunicativa.
Presentazione a immagini di "Design come opera".
Sulle tracce del visionario

Il bagaglio pesante delle opere monumentali lo lascio a terra questa volta, perché il viaggio da fare insieme allo spettatore avrà la leggerezza del colore e la plasticità di forme nate a occhi chiusi senza guardare il paesaggio e le persone.
Mi è sempre stata cara la parola “viaggio” perché sa di nuovo, di vento, di sapori da mettere nella bisaccia dei ricordi, di emozioni da scoprire. Questa intimità regalata all’arte, che ho sempre custodito sotto forma di appunti scritti su foglietti di carta in quei giorni che hanno fatto nascere qualcosa, sento di poterla condividere, anche perché molte delle opere che presento sono figlie di quel tempo doloroso di pandemia che è stato per tutti guardare le fragilità negli occhi. L’ho fatto anch’io e le ho manipolate perché prevalesse il loro lato buono, quello di cui l’arte spesso si nutre.
Durante questo tempo ho allestito una mostra nel mio studio sapendo che non l’avrebbe visitata nessuno. L’ho fatto per le opere alle quali avevo promesso visibilità e gente intorno. È stato come apparecchiare con cura la tavola per invitati che non avrebbero potuto partecipare alla cena. Mi sono detto che serviva anche quello per provare a scalfire la solitudine di quel silenzio caduto addosso alla nostra voglia di futuro. A seguire La presentazione delle opere che fanno parte del nuovo catalogo AUTORITRATTI DEL MIO MESTIERE